Settant’anni, se vi sembrano pochi

Più del mio primo vagito, in quell’alba del 16 luglio 1952 – festa della Madonna del Carmine, la precisazione era d’obbligo – mia madre ricordava l’abbattersi di un violento temporale, i bagliori sinistri dei fulmini che s’infilavano tra le fessure degli sgangherati balconi e i lamentosi cigolii del vecchio armadio all’incalzare secco delle saette. Solo quando l’ostetrica gli porse il neonato, pur provata dalle fatiche del parto, ebbe un sussulto d’orgoglio materno. «È bello grosso», esclamò. «E ha già dei capelli», aggiunse subito dopo. «Eh, sì – ammise l’ostetrica con il tono di chi ne ha viste tante –: con i suoi quattro chili e duecento grammi è davvero un bel bambinotto».

 La mia prima foto, scattata qualche tempo dopo, confermava quell’impressione: il piccolo era in carne ed esibiva con orgoglio una bionda pettinatura a banana. Settant’anni dopo, quell’immagine, pur segnata dal tempo e dai traslochi, testimonia che i fondamentali erano buoni (grazie, mamma!), ma purtroppo, come in tante altre cose, non avevo trovato il tempo per affinarli. Uno spreco bello e buono, insomma.